Il Consiglio di Stato, con la pronuncia in esame, ha sollevato la questione pregiudiziale di compatibilità con le norme del diritto europeo dell’art. 1 comma 649, della legge 23 dicembre 2014 n. 190, a seguito del quale è stata disposta la “riduzione” di 500 milioni di euro su base annua, a decorrere dall’anno 2015, “delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773”.
Segnatamente, i Giudici di Palazzo Spada hanno formulato i seguenti quesiti:
“(1) se sia compatibile con l’esercizio della libertà di stabilimento garantita dall’art. 49 del TFUE e con l’esercizio della libera prestazione di servizi garantita dall’art. 56 TFUE l’introduzione di una normativa quale quella contenuta nell’art 1, comma 649, delle legge 190/14, la quale riduca aggi e compensi solo nei confronti di una limitata e specifica categoria di operatori, ovvero solo nei confronti degli operatori del gioco con apparecchi da intrattenimento, e non nei confronti di tutti gli operatori del settore del gioco;
(2) se sia compatibile con il principio di diritto europeo della tutela del legittimo affidamento l’introduzione di una normativa quale quella sopra citata, contenuta all’art 1, comma 649, della legge 190/14, la quale per sole ragioni economiche ha ridotto nel corso della durata della stessa il compenso pattuito in una convenzione di concessione stipulata tra una società ed un’amministrazione dello Stato Italiano”.
Quanto al primo quesito, la misura disposta da ultimo con i commi 920 e 921 dell’art. 1 della l. 208/2015 (che modificano l’art 1, comma 649, della legge 190/14), comporta che il concessionario debba subire un prelievo economico dai propri bilanci, nella misura determinata dal decreto dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli impugnato con il ricorso di primo grado e con effetto retroattivo; ciò comporta una restrizione alle libertà garantite dagli artt. 49 e 56 TFUE, nel senso che il prelievo viene a rendere meno attraente l’attività oggetto di concessione. È, inoltre, dubbio che la misura in questione si possa qualificare, per essere legittima, come ispirata dai motivi imperativi di interesse generale, in quanto la giurisprudenza della Corte di giustizia ha più volte affermato che fra i motivi imperativi citati non si ricomprendono le semplici esigenze dello Stato membro di incrementare il proprio gettito fiscale.
Con riferimento al secondo quesito, la misura in esame appare adottata anche in contrasto con il principio di tutela dell’affidamento perché essa va ad incidere sui rapporti di concessione già in corso, in modo da peggiorarne i termini economici, e quindi da alterare in modo sfavorevole i calcoli di convenienza fatti dal concessionario nel momento in cui si è accordato con l’amministrazione concessionaria.